Due diversi virus mutati di Sars Cov-2 che si ricombinino. Questo è, in maniera molto semplice, il meccanismo che è al centro della variante Omicron Xe. Un “mix”, in sostanza, di Omicron 1 e di Omicron
L’UkHsa, autorità sanitaria della Regina Elisabetta II, l’ha rilevato per la prima volta lo scorso 19 gennaio. Da allora, spiega l’Organizzazione mondiale della sanità, sono state notate più di 600 sequenze. Le prime stime indicano un maggior tasso di contagio di circa il 10% rispetto a Omicron 2, ma gli studiosi ci vanno cauti. È troppo presto per definirlo con certezza.
Sono 3 le ricombinanti che si stanno tenendo sott’occhio: Xf, Xe e Xd. Di queste, Xd e Xf sono ricombinanti tra Delta e Omicron 1 mentre Xe è la ricombinante tra Omicron 1 e Omicron 2.
In un’analisi delle autorità britanniche, di Xf sono stati accertati 38 casi, anche se nessuno è stato notato da metà febbraio. Xd, invece, non è stata identificata nel Regno Unito ma ha avuto in Francia la maggior parte dei suoi 49 casi individuati.
Xe può aggravare la situazione? Deve far preoccupare?
In caso di conferma della maggiore contagiosità, resta da vedere l’effetto che questa può avere sotto il punto di vista dei sintomi del Covid. Nel caso in cui questi ultimi dovessero essere gli stessi, e non dovesse esserci un aumento dell’impegno del sistema ospedaliero, con un aumento dei ricoveri, avremmo un’ulteriore conferma di questo percorso che sta portando dalla pandemia all’endemia.
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